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Ricevo in studio Alice (nome di fantasia) che mi comunica la volontà del marito di separarsi.

Trattare queste situazioni è sempre molto difficile, lo è ancor più quando la persona che decide (o subisce la decisione) di separarsi veste una divisa.

Il marito di Alice (che chiameremo Roberto) informa, dunque, la moglie della volontà di separarsi.

Alice e Roberto hanno due figli di quattro e due anni.

Alice si è allontanata dalla propria famiglia di origine per seguire Roberto. Con difficoltà è riuscita a trovare un lavoro e a conciliare la propria attività lavorativa, la professione del marito e la gestione dei figli senza poter contare sull’aiuto dei familiari lontani.

Per tutta la durata del matrimonio anche Roberto ha cercato di collaborare il più possibile alla gestione familiare compatibilmente con lo svolgimento del proprio ruolo.

Ad un certo punto, però, Roberto decide di comunicare ad Alice l’intenzione di separarsi.

Cosa succede a questo punto?

Certamente le dinamiche familiari sono molto complesse.

Personalmente mi sono occupata di molteplici separazioni ma quando si ha a che fare con una divisa le problematiche sembrano moltiplicarsi.

Il particolare ruolo rivestito dal “coniuge in divisa” amplifica le difficoltà che si devono affrontare per superare la separazione soprattutto in presenza di figli minori.

Mentre i sentimenti personali che pervadono i coniugi “in divisa” possono essere gli stessi rispetto ai coniugi “ordinari”, gli ostacoli maggiori si rinvengono nella determinazione delle modalità di visita dei figli.

Nella coppia in divisa tutto è subordinato a esigenze “superiori”, bisogna fare i conti con esigenze di servizio, ordini di trasferimento, e così via.

In relazione ai diritti di visita dei figli sarebbe, quindi, impensabile poter utilizzare le modalità standard che solitamente adottano i Tribunali (es. fine settimana alternati; due giorni a settimana presso il genitore non collocatario, ecc.) e non si possono predeterminare con sufficiente precisione i modi attraverso cui questi diritti possono essere esercitati dai genitori in divisa.

Tutto è e sarà sempre estremamente connesso alla divisa.

E’ necessario trovare un equilibrio tale da garantire ai figli minori il proprio diritto alla bigenitorialità a prescindere dalla quantità del tempo trascorso insieme.

Nonostante i Tribunali italiani siano propensi ad accettare soluzioni condivise da entrambi i coniugi, il problema si pone quando gli stessi sono in conflitto e permettono a tale conflitto di ripercuotersi sull’affidamento dei figli.

La maggior parte delle separazioni sono accomunate da sentimenti di risentimento, rabbia, rancore che si ritenevano superati ma che, in realtà, restano latenti soprattutto nelle famiglie in divisa.

Frasi del tipo: “Ho sacrificato tutto per seguirlo/a” sono all’ordine del giorno e possono minare tutto ciò che la famiglia ha costruito con dedizione e sacrificio.

Ecco che il problema relativo ai diritti di visita dei “figli della divisa” diventa un problema ben più ampio e, per una migliore risoluzione possibile, necessita dell’affiancamento di figure specializzate che possano aiutare i coniugi ad accettare ed affrontare al meglio la separazione.

La mia esperienza professionale mi ha indotta a ritenere che, molto spesso, la separazione dei “coniugi in divisa” è solo la punta dell’iceberg di malesseri personali dettati da situazioni particolarmente stressanti che, se non adeguatamente affrontate, possono disgregare la famiglia.

Ritengo fondamentale, quindi, che i “coniugi in divisa” facciano ricorso anche a forme di aiuto psicologico che gli consenta di indagare le reali cause della separazione e di fronteggiarla nel migliore dei modi nell’interesse proprio e della famiglia.

Tutto ciò permetterà loro di affrontare meglio la separazione anche dal punto di vista legale poiché saranno maggiormente orientati a soluzioni condivise da sottoporre dinanzi i Tribunali competenti.

Ritengo, pertanto, che un’ottimale difesa legale dei “coniugi in divisa” debba essere intimamente connessa ad un adeguato supporto psicologico che consenta di operare insieme nel supremo interesse dei minori.

Avv. Chiara Spagnolo